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 PRESENTAZIONE LATITUDINE E LONGITUDINE GEOLOGIA CLIMA IDROGRAFIA FAUNA FLORA POPOLAZIONE CENSIMENTO 1981 SETTORE PRIMARIO SETTORE SECONDARIO SETTORE TERZIARIO 
			 
			
			
			A T T I V I T A' E C O N O 
			
			M 
			
			I C H E  
			
			
			 AGRICOLTURA 
			
			Ho già
			
			
			avuto modo di dire che, fra i settori di attività, quello 
			agricolo
			
			
			conta il maggior numero di addetti, ma non 
			è
			certamente il
			
			
			più redditizio. Nonostante lo sviluppo che ha interessato anche il 
			mio mondo agricolo, permangono ancora quelle cause geografiche, 
			storiche e sociali che da sempre hanno ostacolato l'incremento della 
			produttività
			
			
			e del reddito. Tra i fattori principali vanno annoverati: 1) la
			
			
			scarsa 
			fertilità del suolo; 
			2)
			l'adozione di colture poco redditizie; 
			3) l'alta percentuale di lavoratori agricoli, nonostante che sia 
			diminuita la necessità di manodopera a causa della meccanizzazione; 
			4)
			
			
			la
			
			
			scarsità dei capitali investiti; 5) il perpetuarsi
			
			
			del latifondismo insieme alla polverizzazione e alla frammentazione 
			della
			
			
			proprietà; 6) la mancanza di qualificazione professionale
			
			
			degli addetti; 7) l'insufficiente meccanizzazione; 8) la fuga dai 
			campi da parte
			
			
			dei 
			giovani e, quindi, senilizzazione ed elevata presenza femminile
			
			
			nel lavoro agricolo; 9) la mancata diffusione di
			
			
			una 
			
			mentalità
			
			
			cooperativistica
			 IO) la mancanza di 
			infrastrutture che favoriscano
			
			
			insieme 
			l'aumento della produzione e la trasformazione 
			
			e la 
			commercializzazione 
			dei prodotti agricoli.  
			
			Data 
			questa
			
			
			situazione,
			
			
			è 
			
			impossibile 
			sperare che
			
			
			nel 
			futuro
			
			
			prossimo
			
			
			si passi ad un 
			
			tipo 
			di 
			
			agricoltura 
			altamente qualificato.  
			
			Attraverso
			
			
			le
			
			
			cifre 
			del 
			3°Censimento generale dell'agricoltura,
			
			
			effettuato
			
			
			il
			
			
			24 
			
			ottobre
			
			
			1982 - i dati sono stati
			
			
			pubblicati
			
			
			nel
			
			
			1986 
			- si
			
			
			può 
			tentare
			
			
			un'analisi 
			approfondita del settore
			
			
			primario.  
			
			Quasi 
			tutte
			
			
			le 
			
			aziende,
			
			
			il 
			
			95 per cento, proprietarie
			
			
			soltanto
			del 
			68,8
			
			
			per 
			cento 
			della 
			superficie 
			totale, si 
			
			servono
			
			
			esclusivamente
			
			
			di
			
			
			manodopera
			
			
			familiare.  
			
			La
			
			
			figura
			
			
			del 
			proprietario 
			coltivatore
			
			
			appare 
			
			ancora 
			più netta,
			
			
			se aggiungiamo
			
			
			un altro 
			2 per cento e più di aziende 
			che risultano
			
			
			condotte 
			dallo 
			stesso
			
			
			proprietario insieme
			
			
			a familiari 
			e a 
			
			persone
			
			
			estranee. 
			Soltanto 4 aziende si servono di salariati agricoli,
			
			
			e 3 
			
			sono a mezzadria. Quest'ultima forma di gestione di un'azienda
			
			
			agraria, 
			che vede il proprietario e l'agricoltore associati 
			nella conduzione 
			del terreno, con la divisione delle spese, dei prodotti 
			e 
			
			dei
			
			
			guadagni, non si 
			
			è 
			
			mai diffusa qui da me ed oggi, 
			come si vede,
			
			
			è 
			
			quasi del
			
			
			tutto scomparsa. 
			 
			
			La presenza contemporanea di due fenomeni contrastanti, 
			quali 
			il 
			
			latifondismo e la polverizzazione 
			della proprietà, 
			
			è 
			
			messa in evidenza dalla 
			
			tavola n.2. Qui si rileva che il 74,4 per 
			cento delle aziende 
			
			è 
			
			proprietario di fondi minimi, fino a cinque ettari, che 
			rappresentano soltanto 
			il 20,7 per cento della superficie agricola totale.
			
			 
			
			D'altro canto vi sono 5 aziende, in percentuale lo 0,99, che posseggono 
			in media 131 ettari, che insieme coprono il 26,6 per cento dell'intera 
			superficie. Non 
			è
			facile individuare le cinque 
			grandi aziende
			
			
			censite, ma senz'altro non ci si trova di fronte ad un caso di
			
			
			latifondismo 
			vecchia maniera, ma a qualche forma di cooperativismo e di 
			associazione di famiglie con legami di parentela, che lavorano
			
			
			la 
			
			terra
			
			
			con sistemi 
			
			più 
			moderni.  
			
			La
			
			
			superficie
			
			
			media 
			delle aziende 
			è 
			
			poco
			
			
			superiore
			
			
			a 6 ettari, 
			uguale 
			a quella 
			del
			
			
			Mezzogiorno 
			e più bassa di quella nazionale, 
			che
			
			
			è 
			
			di
			
			
			7,2 ettari.  
			
			Per 
			quanto 
			riguarda la destinazione
			
			
			del 
			suolo 
			
			si 
			hanno 
			
			le
			
			
			seguenti ripartizioni. 
			Più
			
			
			della metà
			
			
			della 
			
			superficie
			
			
			è 
			
			utilizzata 
			per i seminativi; il 6 per 
			cento 
			
			per le 
			coltivazioni
			
			
			permanenti; 
			l'11 
			per 
			cento
			
			
			è 
			
			costituita
			
			
			da
			
			
			prati 
			e 
			
			pascoli
			
			
			e 
			
			il
			
			
			15 per 
			cento
			
			
			da boschi.
			
			 
			
			Il 74 per cento della superficie destinata ai 
			
			seminativi 
			
			è 
			
			coltivata a cereali e di essa il 50 per cento 
			
			è 
			
			occupata dal grano, che rimane la mia coltura principe, perché ben si adatta ai terreni poco
			fertili e alle alte quote. Le varietà di grano più diffuse sono la 
			
			"cappella” (Senatore Cappelli), grano duro, e la "risciola", grano 
			tenero. Altre varietà coltivate sono la "carosella”,
			
			
			il "bianchetto" e la "marzellina", che si semina a marzo in alta 
			montagna. La coltivazione del duro 
			
			è
			praticata soprattutto nella parte 
			bassa del mio territorio, quella del tenero a quote più elevate.  
			
			La resa, ora che la terra viene arata con i trattori ed anche la 
			semina 
			
			è 
			
			effettuata con mezzi meccanici, si 
			
			è 
			
			più che raddoppiata rispetto a prima. Oggi si ottiene da 15 a 20 
			volte la quantità di grano seminata per tomolo, circa 80 Kg, mentre 
			una volta, nelle annate buone, essa, circa 50 Kg, aumentava di 7 
			volte. La resa per ettaro 
			
			è 
			
			pari, quindi, a 30 quintali in media, ma nei terreni più fertili e 
			ben concimati può giungere fino a 50. Parte della quantità di grano 
			prodotta, che 
			
			è 
			
			superiore al fabbisogno interno, viene esportata in altre province 
			della nostra regione o delle regioni limitrofe.  
			
			La coltivazione del granturco, molto praticata anni addietro, 
			
			è 
			
			stata quasi del tutto soppiantata da quella del tabacco. L'uso del 
			granone (radinio) per l'alimentazione umana si limita alla 
			preparazione della polenta e della pizza gialla, tutto il restante
			
			
			è 
			
			adoperato come mangime per gli animali. Un tempo non molto lontano, 
			le brattee (frusci) della pannocchia erano usate per riempire i 
			materassi, e ogni mattina la donna di casa era costretta a 
			rimetterle in piano con la fòrcola (furcina).  Altre piante coltivate e adoperate come foraggio sono l'avena, la lupinella, le fave, la sulla, l'erba medica, la veccia e l'orzo. 
			
			 
			Alcune erbe crescono spontanee tra il grano, soprattutto i 
			"raldi" e "l'uogghi". 
			Con questi ultimi, la cui forma è assai simile a quella 
			del grano, una
			
			volta si facevano il pane e la pizza, che procuravano 
			in chi li mangiava gli effetti di uno stupefacente. 
			Per 
			fare 
			
			il pane, un pane nero, erano anche usate
			
			le 
			"tonache", una 
			leguminosa, 
			che
			
			insieme 
			alle "chichierchie", 
			simili a semi di piselli 
			schiacciati, si piantavano con il granturco. 
			 
			I miei contadini producono in quantità limitate,
			
			ma 
			di buona qualità, 
			anche fagioli, ceci, 
			piselli e lenticchie. 
			 
			La tecnica della rotazione 
			triennale per 
			la coltivazione 
			dei cereali, 
			cioè l'utilizzazione 
			dello stesso appezzamento 
			di 
			terreno 
			il primo 
			anno per il grano, l'anno successivo per
			
			l'avena e il terzo anno per un altro foraggio, 
			non viene quasi più praticata dopo l'introduzione 
			dei fertilizzanti 
			chimici. 
			 
			Le 
			colture 
			ortofrutticole, 
			a cui è riservato soltanto l'uno per 
			cento 
			della SAU (Superficie 
			Agricola Utilizzata), sono scarsamente
			
			sviluppate; esse soddisfano per lo più le esigenze 
			familiari. 
			 
			Si
			
			producono pomodori 
			di diverse varietà, peperoni, finocchi, zucche, zucchini, 
			agli, barbabietole, 
			patate, bietole, carciofi, carote, 
			broccoli, 
			cavolfiori, 
			rape, verze, cetrioli, cipolle, fagiolini, 
			melanzane 
			e vari tipi 
			di 
			
			verdure per insalata. 
			 
			Alle 
			
			colture legnose, 
			vite e olivo in particolare,
			
			è riservata 
			una superficie di 142 ettari, divisa tra 379 aziende, con una media 
			di poco superiore a 37 are (3700 mq, poco più di un tomolo). 
			Nonostante l’aumento delle piantagioni e il ricorso a varietà di uve 
			più pregiate e con una maggiore resa, la produzione di vino è ancora 
			insufficiente rispetto alla richiesta locale. Eppure la domanda non 
			è eccessivamente alta, perché i miei abitanti preferiscono come 
			bevanda la birra. 
			
			 
			
			Anche 
			la
			
			
			coltivazione 
			dell'olivo, 
			che pure di recente si 
			
			è 
			
			incrementata 
			e specializzata, 
			dovrebbe espandersi, perché parecchi dei 
			
			miei
			
			
			abitanti 
			sono
			
			
			costretti ad approvvigionarsi dell'olio in altre località.  
			
			Non 
			
			è 
			
			facile trovare i motivi che spieghino l'insufficiente 
			spazio 
			dato 
			
			a 
			
			colture redditizie come quelle dell'olivo 
			
			e 
			
			della vite, che
			
			
			avrebbero 
			nel mio territorio l'ambiente ideale per svilupparsi. Forse
			
			
			è 
			
			la 
			quantità 
			di lavoro che esse, soprattutto la vite, richiedono; forse 
			è
			il 
			timore 
			delle grandinate, che spesso 
			hanno distrutto in pochi attimi il lavoro di mesi dedicato ad un 
			vigneto, o delle
			
			
			gelate, che, come
			
			
			è 
			
			accaduto anche due anni fa, spengono la vita di antichi 
			
			e 
			
			giovani ulivi. E' certo amaro constatare che ora non 
			
			possiedo 
			neppure 
			un frantoio e che i miei coltivatori devono recarsi a 
			
			Montecalvo 
			o a Paduli per ottenere il loro olio. E pensare che in passato ne ho 
			avuto di frantoi: uno, situato sotto la "Rimessa", rimasto 
			attivo fino all'inizio della seconda guerra mondiale; l'altro, in Viale 
			C.Battisti,smantellato alla fine degli anni Sessanta.  
			
			La provincia di Benevento, in poco più di una ventennio, 
			
			è 
			
			diventata 
			la maggiore 
			produttrice di tabacco nell'Europa Comunitaria.  
			
			La vicinanza ha fatto sì che la coltivazione dell' "oro verde" si
			
			
			diffondesse 
			anche 
			da me.I tabacchicoltori,che 
			si sforzano di superare
			
			
			gli ostacoli frapposti 
			dal clima e dalla scarsità
			
			
			dell'acqua disponibile
			
			
			nel
			
			
			periodo 
			estivo,sono 
			sempre più numerosi. 
			In effetti,
			
			
			i 
			
			capitali 
			investiti 
			e la fatica necessaria sono ampiamente 
			ricompensati
			
			
			dall'alto 
			indice remunerativo del tabacco. 
			
			Ma 
			anche 
			
			l'oro
			
			
			deve 
			
			subire 
			gli alti 
			e i bassi 
			del mercato e si paventa una crisi già
			
			
			manifestatasi, 
			in parte, lo scorso anno. L'estendersi della consapevolezza 
			dei danni 
			provocati dal fumo e i provvedimenti 
			legislativi
			
			
			già 
			adottati 
			e quelli proposti, tendenti a "criminalizzare"
			
			
			i fumatori,
			
			
			spingono 
			a credere 
			che il fabbisogno di 
			tabacco 
			diminuisca, 
			e,quindi,
			
			
			bisognerà 
			sostituire
			
			
			la 
			coltivazione 
			di questa pianta con altre parimenti 
			redditizie.  
			
			
			
			         
			 
			
			Non ci
			
			
			sono 
			più
			
			
			buoi 
			
			a 
			
			tirare 
			l'aratro
			
			
			o 
			
			il carro, né
			
			
			muli 
			
			e 
			"ciucci”
			
			
			a trasportare 
			persone e cose. Accanto 
			alle porte
			
			
			delle
			
			
			case non è
			più
			
			
			necessario 
			fissare i "catenielli" per 
			assicurarvi le 
			
			“vetture". 
			Trattori
			
			
			e 
			
			motozappe 
			sono le nuove bestie da soma 
			e 
			
			da
			
			
			tiro. 
			Da
			
			
			quando 
			
			i 
			
			primi 
			esemplari 
			fecero la loro
			
			
			comparsa qui, una quarantina
			
			
			d'anni
			
			
			fa, i mezzi meccanici sono diventati 
			sempre più
			
			
			indispensabili 
			per 
			
			il 
			contadino. 
			I dati del censimento (Tab. n.07), però, dicono che essi non 
			
			sono 
			molti. Soltanto 
			88
			aziende posseggono 
			un trattore
			
			
			(108
			in totale) 
			e I56
			si servono di un motocoltivatore
			
			
			(205
			
			
			in totale). 
			Le 
			mietitrebbie 
			sono 7 e le macchine raccoglitrici 5. Una sola azienda, 
			infine, dispone di irroratori antiparassitari. Il processo di 
			meccanizzazione del lavoro agricolo si mantiene, 
			quindi, ancora basso. Ciò 
			è
			dovuto alla 
			limitata ampiezza delle 
			aziende agricole e alle 
			caratteristiche dei terreni e della proprietà, 
			spesso 
			frammentata, per cui il loro uso, in molti casi, potrebbe
			
			
			risultare antieconomico.
			 ALLEVAMENTO 
			
			L'allevamento 
			
			del 
			bestiame 
			è
			
			
			stato sempre caratterizzato dalla eccessiva polverizzazione della 
			proprietà e dall'essere considerato 
			come attività
			
			
			da affiancare al lavoro dei campi. La figura tipica qui era quella 
			del contadino con la piccola masseria, un po' di terra e pochi 
			animali nella stalla. La situazione ora si 
			
			è 
			
			un po' modificata ed anche se 
			
			è 
			
			ancora rarissima la figura
			
			
			dell'allevatore 
			specializzato, non mancano le aziende con un alto numero di capi.
			 
			
			Poiché la produzione nazionale di carne 
			
			è 
			
			insufficiente rispetto al fabbisogno interno e si 
			
			è 
			
			costretti ad importarla in grosse quantità dall'estero, lo stato ha 
			finanziato con risorse abbondanti lo sviluppo della zootecnia. 
			Attraverso la Cassa per il Mezzogiorno, che ha elaborato un Progetto 
			speciale carne, sono arrivati anche qui da me dei contributi che 
			hanno permesso di impiantare allevamenti
			
			
			razionali meccanizzati. 
			Un esempio di questo tipo 
			
			è 
			
			offerto dalla stalla della
			
			
			Cooperativa 
			Frascino. Sorta nel 1976 su un fianco
			
			
			del 
			
			laghetto
			
			
			artificiale 
			appositamente 
			realizzato, la stalla può ospitare 
			fino 
			a 
			
			90 
			
			mucche, 
			inoltre, 
			
			è 
			
			dotata di un box per i vitelli
			
			
			e 
			
			di
			
			
			uno 
			
			per 
			il 
			toro,
			
			
			e 
			
			di
			
			
			un locale per la raccolta del latte. Tutte
			
			
			le operazioni,
			
			
			dalla 
			forni 
			tura
			
			
			del foraggio 
			e dell'acqua 
			alla mungitura 
			sono 
			automatizzate.  
			
			Oltre 
			alla
			
			
			stalla, 
			la Cooperativa 
			dispone 
			di un 
			
			grande
			
			
			capannone, 
			utilizzato per il ricovero dei
			
			
			mezzi
			
			
			meccanici, una
			
			
			falciatrice, 
			una mietitrebbia e una imballatrice, 
			
			e 
			
			per stivarci il foraggio.  
			
			Nel 
			marzo
			
			
			del
			1985 
			
			è 
			
			stata ultimata
			
			
			la 
			messa 
			in opera
			
			
			di un impianto
			
			
			eolico, 
			finanziato 
			dalla Cee, destinato a fornire l'elettricità 
			necessaria
			
			
			al 
			
			funzionamento della stalla. La Cooperativa 
			ha 
			
			messo 
			a 
			
			disposizione 
			il terreno e un locale per custodire le apparecchiature. 
			Purtroppo, 
			a tutt'oggi, 
			l'impianto non 
			
			è 
			
			entrato in 
			
			funzione, 
			sembra 
			
			per 
			
			la difficoltà
			
			
			di 
			
			trasformare 
			la
			
			
			corrente prodotta 
			da
			220 a 380
			
			
			Volt.  
			
			Attualmente 
			la 
			
			stalla 
			ospita 26 mucche, di razza 
			bruno alpina, 
			
			provenienti 
			dall'Austria, 
			più 10 vitelli. La
			
			
			produzione 
			di latte 
			è 
			
			di un
			
			
			quintale 
			
			al
			
			
			giorno, 
			perché
			
			
			non tutte le mucche hanno partorito. 
			Il latte 
			
			è 
			
			inviato 
			quotidianamente ad un caseificio di Tufara 
			Valle.  
			
			La
			
			
			Cooperativa Frascino
			
			
			è 
			
			nata nel 
			1975, con 15
			soci, di età compresa 
			tra i 30 e 
			
			i 
			
			65 anni. Primo presidente ne 
			
			è 
			
			stato 
			il Sig. 
			
			Resce 
			Vincenzo. I membri 
			della Cooperativa 
			hanno associato tutta 
			
			la
			
			
			loro proprietà e si occupano, con compiti diversi, della conduzione 
			della stalla
			
			
			e dei terreni. Le ore lavorative prestate da ciascun 
			socio sono retribuite 
			in misura tariffaria; il venti per cento 
			delle
			
			
			entrate 
			serve 
			a pagare il fitto dei terreni ed il restante 
			viene
			
			
			diviso 
			tra 
			i soci.  
			
			Il
			
			
			90 
			
			per 
			cento 
			della 
			somma necessaria 
			per la costruzione 
			della 
			
			stalla 
			
			e delle 
			
			infrastrutture
			è 
			
			stata 
			stanziata
			
			
			a 
			
			fondo
			
			
			perduto
			
			
			dalla
			
			
			Cassa
			
			
			per 
			
			il Mezzogiorno.  
			
			Nella
			
			
			Cooperativa
			
			
			non tutto 
			
			è 
			
			andato
			
			
			nel 
			verso
			
			
			giusto:
			
			
			i soci
			
			
			si 
			sono ridotti 
			a nove 
			e il
			
			
			terreno
			
			
			a disposizione
			
			
			è 
			
			passato 
			da 
			100
			
			
			a 
			
			36 ettari,
			
			
			coltivati 
			a silomais,cereali
			
			
			e 
			
			fieno.  Nel 1977 le mucche allevate erano di razza marchigiana, bianche da macello. Successivamente esse vennero sostituite da 60 mucche di razza bruno alpina, importate dall'Austria, che producevano quattro quintali di latte al giorno. 
			
			Gli 
			
			altri 
			allevamenti 
			di bovini di una certa entità
			
			
			si contano sulla punta delle 
			
			dita
			
			
			e 
			
			singolarmente 
			i maggiori 
			raggiungono 
			al 
			
			massimo 
			i 
			
			20 capi.  
			
			Per l'alimentazione 
			gli 
			allevatori 
			fanno uso di scarse 
			
			quantità 
			
			
			di mangimi; 
			per lo 
			più 
			producono 
			su terreni di loro proprietà 
			il foraggio necessario. 
			Ora viene molto usato il silomais
			(insilato 
			di 
			
			mais), 
			che è più nutritivo del fieno, anche se necessita 
			di cure maggiori. 
			Si tratta 
			di una pianta 
			ibrida che sviluppa 
			di 
			più 
			lo 
			
			stelo e il fogliame 
			rispetto al frutto, che rimane ceroso con i chicchi 
			bianchi. Per la conservazione 
			del silomais, quando manca l'attrezzatura 
			adatta,
			
			
			si
			
			
			procede
			
			
			allo "schiacciamento a trincea", cioè si fa passare 
			e ripassare 
			un trattore sulle piante falciate ed ammassate sotto un muretto, per 
			farne fuoriuscire l'aria e 
			
			poi 
			si ricoprono con un telo
			
			
			di
			
			
			plastica.  
			
			Sul capo degli allevatori 
			pende, però, come una spada l'afta epizootica, che
			
			
			già
			
			
			nel maggio 
			del 1985 causò
			
			
			l'abbattimento di
			
			
			25 capi in una
			
			
			stalla
			
			
			e 
			
			di
			
			
			7 in un'altra, e che in questo 
			periodo (marzo I987) 
			
			è 
			
			presente
			
			
			nelle
			
			
			altre 
			province campane. 
			L'afta 
			è una grave 
			malattia 
			infettiva
			
			
			che colpisce gli 
			animali
			
			
			biungulati 
			(con
			
			
			l'unghia 
			a zoccolo 
			spaccata)
			
			
			sia
			
			
			domestici 
			che 
			selvatici
			
			
			ed è 
			
			caratterizzata 
			da 
			
			un'altissima
			
			
			diffusibilità, 
			soprattutto 
			se è
			originata 
			da un virus esotico. 
			In Italia 
			c'è
			
			
			una 
			
			media 
			di 38 
			
			focolai
			
			
			epidemici all'anno. 
			In Campania, 
			tra
			
			
			la 
			fine 
			di dicembre del 
			
			
			1984
			
			
			e il marzo 1986,
			
			
			sono 
			stati 
			abbattuti 
			n.329 
			bovini,
			
			
			9 bufali,
			
			
			977 
			suini,
			
			
			54
			
			
			ovini
			
			
			e 
			
			19 caprini. 
			La malattia 
			non colpisce 
			l'uomo
			
			
			se
			
			
			non 
			in casi 
			rarissimi 
			e 
			
			senza 
			conseguenze
			
			
			di rilievo,
			
			
			ma quest'
			
			
			ultimo 
			può
			
			
			contribuire alla sua
			
			
			diffusione,
			
			
			perciò 
			nei periodi di contaminazione 
			
			è 
			
			interdetta 
			alle 
			persone
			
			
			estranee 
			l'entrata 
			nelle 
			stalle della zona 
			protetta.
			
			 
			
			I danni causati dall'afta sono notevoli perché si procede, a 
			seguito di un 
			
			decreto 
			del Sindaco, al piantonamento "con rigore" 
			dell'allevamento infetto e successivamente all'abbattimento dei capi 
			contagiati, 
			
			di 
			quelli sospetti e di quelli passibili 
			di contaminazione. Agli allevatori viene corrisposto un indennizzo 
			per gli animali abbattuti, 
			
			ma 
			esso giunge 
			dopo vari anni, perciò non sempre
			
			
			i proprietari ritengono 
			opportuno denunciare, come la legge
			
			
			prescrive, 
			la presenza
			
			
			del 
			virus nella propria stalla. I danni, però, non derivano 
			soltanto 
			
			dall'abbattimento 
			dei capi e dalla perdita del latte prodotto, 
			
			ma 
			
			anche dall'impossibilità 
			di effettuare, nel periodo indicato nel decreto del Sindaco, 
			trasferimenti di animali anche
			
			
			non infetti. Pertanto non si possono svolgere fiere, né
			
			
			commerciare
			
			
			animali 
			delle 
			specie sensibili all'afta epizootica: gli unici spostamenti 
			consentiti sono riservati, dopo un'accurata visita veterinaria,
			
			
			ai 
			
			capi da macellare in ambito locale. L'afta, insomma, 
			produce un vero e proprio blocco dell'attività zootecnica 
			
			e 
			
			ne
			
			
			ritarda, come
			è
			avvenuto qui da 
			
			me, 
			lo sviluppo.  
			
			
			OVINI 
			- La
			
			
			pastorizia 
			ha avuto negli ultimi 
			quindici anni una
			
			
			certa
			
			
			ripresa, 
			favorita
			
			
			dall'aumento del consumo di carne di agnello. Si 
			
			è 
			
			passati 
			dai
			
			
			750
			
			
			capi del 1970 ai 993 del 1982. L'incremento
			
			
			appare 
			di 
			
			modesta
			
			
			entità, 
			soprattutto se lo si confronta
			
			
			con la realtà
			
			
			di centri 
			vicini, 
			come San Giorgio La 
			
			Molara 
			e Castelfranco, dove l'allevamento
			
			
			degli 
			ovini 
			
			è 
			
			molto più praticato. Può avere influito negativamente
			
			
			sullo sviluppo di questa 
			attività la sottrazione 
			
			di terreni 
			prima 
			riservati 
			al 
			
			pascolo
			
			
			per
			
			
			destinarli 
			al rimboschimento. 
			Attualmente 
			il gregge 
			più consistente, di proprietà
			
			
			di
			
			
			un allevatore 
			del
			
			
			Pagliarone,
			è
			composto da una quarantina di capi.
			 
			
			Soltanto
			
			
			una
			
			
			parte
			
			
			di quello raccolto 
			è
			trasformato in ricotta 
			
			
			e in formaggio di buona qualità, 
			che
			
			
			è possibile
			
			
			acquistare,
			
			
			fresco 
			o stagionato,
			
			
			direttamente
			
			
			dai 
			produttori.  
			
			Così
			
			
			come 
			l'afta
			
			
			è 
			
			intervenuta ad ostacolare la crescita 
			
			dell'allevamento 
			bovino, 
			un 
			
			animale 
			ancora oggi 
			non identificato
			
			
			frena
			
			
			l'iniziativa
			
			
			degli 
			allevatori 
			di ovini. Dei lupi, secondo la descrizione 
			dei testimoni, 
			o dei cani inselvatichiti, da un paio d'anni, 
			
			decimano
			
			
			le 
			greggi 
			in 
			
			alcune 
			zone del mio territorio. Non è consentito, 
			quindi, lasciare, così come si faceva prima, 
			le pecore al pascolo incustodite 
			o 
			
			affidarle 
			ad un pastorello: è necessario che
			
			
			un pastore 
			abile
			
			
			le protegga. 
			In questo modo la pastorizia sottrae ad
			
			
			altri lavori l'allevatore, 
			il quale rinunzia a ricostituire il suo gregge. C'è da dire che i 
			proprietari che hanno denunciato l'uccisione delle loro pecore da 
			parte del 
			"lupo"
			
			
			sono stati indennizzati, però non si è fatto nulla per individuare 
			il temibile animale.
			 
			
			
			SUINI 
			- 
			
			Mentre
			
			
			per 
			gli ovini e i bovini si è avuto un aumento dei
			capi tra
			
			
			il
			
			
			1970 e il 1982, il numero dei suini è calato da 650 a 438. Ciò non
			
			
			è senz'altro 
			dovuto al mutare delle abitudini alimentari dei 
			miei 
			abitanti, 
			infatti il consumo di carne di 
			
			maiale
			
			
			e soprattutto 
			degli insaccati, 
			dei prosciutti e dei capicolli non 
			
			è per 
			nulla 
			diminuito 
			è che 
			ora
			
			
			si preferisce piuttosto
			
			
			che 
			crescere
			
			
			il porco 
			per sfruttarne 
			solo alcune parti, acquistare 
			in 
			macelleria
			
			
			la 
			
			carne
			
			
			necessaria 
			per 
			la preparazione di salsicce
			
			
			e soppressate. 
			Per 
			
			l'allevamento
			
			
			dei suini c'è una sola azienda specializzata, 
			attiva
			
			
			da qualche 
			anno, 
			con una ventina di scrofe che producono
			
			
			circa
			
			
			300
			
			
			maialetti 
			all'anno.  
			
			Questo settore 
			potrebbe 
			avere 
			un'espansione se si
			
			
			collegasse
			all'allevamento 
			la trasformazione 
			della carne suina 
			in 
			prodotti
			
			
			tipici 
			di
			
			
			alta qualità,
			
			
			per 
			i quali già
			
			
			oggi 
			la domanda 
			è alta 
			e lo sarà 
			di più 
			
			negli 
			anni 
			a 
			
			venire.  
			
			
			ECONOMIA 
			FORESTALE  
			
			Nel settore primario rientra 
			
			anche 
			la
			
			
			forestazione,
			
			
			attività
			
			
			nella quale sono impegnati attualmente
			
			
			più di una ottantina dei 
			
			miei 
			abitanti, 
			come
			
			
			dipendenti della 
			Comunità 
			Montana 
			"Ufita" 
			costituita nel 1979. 
			Essi hanno diverse
			
			
			qualifiche, 
			impiegati, 
			capisquadra 
			ed operai 
			e si dividono in effettivi, 
			centottantunisti 
			e centocinquantunisti 
			a seconda
			
			
			del numero 
			di
			
			
			giorni 
			dell' 
			anno
			
			
			in 
			cui
			
			
			devono 
			
			essere 
			chiamati 
			a 
			
			prestare 
			la 
			
			loro 
			opera. 
			 
			
			Nel periodo
			
			
			restante 
			essi 
			percepiscono, 
			come 
			cassintegrati, 
			
			
			l'80 
			per
			
			
			cento del 
			
			salario. 
			Il lavoro 
			
			finora 
			compiuto 
			dagli operai e dai tecnici dell' 
			Ufita è
			di enorme importanza per la difesa
			
			
			del 
			suolo, per 
			
			la 
			tutela del paesaggio 
			e per la conservazione dell'equilibrio
			
			
			ecologico.
			
			 
			
			Due terribili 
			nemici 
			stanno, però, in agguato: gli incendi e 
			
			la 
			processionaria.  
			
			Le autobotti dei 
			
			pompieri 
			hanno più volte imboccato le strade 
			che
			
			
			portano
			
			
			sopra 
			
			i 
			
			miei 
			monti per
			
			
			limitare 
			i guasti prodotti 
			dal fuoco. Nella mia
			
			
			sola 
			provincia
			
			
			nel 
			1986 sono stati  
			registrati
			
			
			ben
			
			
			123 
			
			incendi,
			
			
			dei
			
			
			quali 81 
			
			dolosi, 
			28 colposi e soltanto
			
			
			9 
			
			originati 
			da 
			
			cause
			
			
			dubbie. 
			E' l'uomo, 
			quindi, il principale 
			responsabile
			
			
			degli
			
			
			incendi 
			boschivi, e, incoscientemente,
			
			
			depaupera 
			se 
			
			stesso,
			
			
			la 
			collettività 
			e 
			
			le 
			generazioni
			
			
			future 
			
			di 
			
			un 
			bene di inestimabile 
			valore.  
			
			Per 
			quanto riguarda 
			la
			
			
			processionaria,
			
			
			essa 
			si 
			
			è 
			
			insediata 
			stabilmente 
			sui 
			rami
			
			
			dei
			
			
			pini 
			del
			
			
			bosco 
			in 
			
			località
			
			
			Schiavone,
			
			
			sui quali 
			ha
			
			
			costruito 
			bianchi nidi 
			
			a 
			
			forma
			
			
			di 
			cono come 
			di 
			ovatta
			
			
			che 
			sembrano
			
			
			decorazioni 
			natalizie.
			
			
			I bruchi 
			pelosi 
			di questa farfalla notturna,
			
			
			quando 
			escono 
			dai nidi,
			
			
			a marzo,
			
			
			avanzano 
			in
			
			
			ordinate 
			processioni 
			
			e 
			
			defogliano 
			i pini,
			
			
			provocandone 
			a 
			
			volte
			
			
			la 
			morte.
			
			 
			
			,  
			
			
			
			         
			 
			Per 
			liberarsene 
			bisogna
			raccogliere 
			in 
			inverno
			i loro 
			nidi 
			e bruciarli
			in una
			buca, 
			con
			molta
			cautela 
			perché
			i 
			peli 
			delle 
			larve
			sono
			urticanti.
			Se l'albero
			è grande
			e 
			raccogliere
			i nidi 
			diventa 
			difficile,
			essi si
			possono 
			colpire
			a fucilate 
			durante 
			l'inverno,
			perché 
			nel nido 
			danneggiato
			le
			larve 
			muoiono
			di 
			freddo.  
			Gli 
			uomini dipendono 
			molto dalle piante,
			è 
			necessario, 
			perciò,
			proteggerle
			in tutti i 
			modi.  
			Gli 
			alberi che 
			sono 
			stati
			piantati 
			dagli 
			operai 
			dell'Ufita sono 
			come tante monete 
			custodite 
			in 
			un 
			salvadanaio:
			quando 
			domani
			lo aprirò 
			mi troverò 
			proprietario 
			di un ricco patrimonio. 
			Il verde è il
			colore
			del 
			turismo che più si affermerà
			nei 
			prossimi 
			anni ed io
			sarò 
			fiero 
			di possederne
			molto.  
			
			Dall'esame
			
			
			effettuato si rileva che la mia 
			
			è 
			
			un'agricoltura 
			malata;
			
			
			ma se 
			
			la diagnosi 
			
			è 
			
			facile a farsi, 
			difficile 
			
			è 
			
			predisporre la cura. 
			
			Medicine 
			adatte potrebbero essere 
			la cooperazione, la trasformazione
			
			
			e 
			
			la commercializzazione 
			dei prodotti agricoli.  Il primo farmaco è stato già sperimentato, ma esso non ha dato i frutti sperati. Eppure la cooperazione nel settore primario, nelle sue varie forme, ha dato altrove esiti assai positivi, permettendo la trasformazione dell'azienda agricola in una vera e propria impresa industriale. La cooperazione permette, innanzitutto, un miglioramento della qualità della vita del contadino, perché con la ripartizione dei compiti diminuiscono gli orari di lavoro; perché tutti i soci partecipano alle decisioni riguardanti la gestione delle attività; perché si sviluppano lo spirito di iniziativa e le capacità organizzative del singolo. La cooperazione consente ad un certo numero di agricoltori di mettere in comune le loro terre e di specializzarsi in una monocoltura; di partecipare con i loro capitali alla costruzione di impianti per la conservazione e la trasformazione dei prodotti; di organizzare la distribuzione diretta ai consumatori dei prodotti, evitando gli innumerevoli passaggi, che fanno aumentare il prezzo della merce e ridurre il guadagno del produttore. La cooperazione, infine, dà la possibilità di ottenere notevoli sussidi finanziari e agevolazioni fiscali. E' da ritenere che il mancato diffondersi, qui da me, della forma cooperativistica nella conduzione delle aziende agricole sia dovuto alla mentalità individualistica. degli operatori, ma anche allo scarso aiuto culturale e tecnico fornito loro dalle strutture pubbliche. 
			
			Non sono certo mancate le iniziative per la costituzione
			
			
			di
			
			
			forme 
			associative,ad iniziare dalla Società di mutuo 
			
			soccorso
			
			
			nata
			
			
			nel 1890, 
			di cui si conserva una medaglia, 
			alla Cassa di 
			
			Mutualità
			
			
			del
			
			
			Miscano,
			fondata lo scorso anno.  
			
			Nel pensare che oggi 
			sono funzionanti ben 8 cooperative, 
			le quali
			fanno di 
			
			me 
			il paese con la più alta concentrazione 
			
			di 
			
			tutta
			
			
			la Provincia, potrei anche ritenermi soddisfatto. Il 
			
			fatto
			
			
			è 
			
			che quasi 
			nessuna delle associazioni 
			formatesi 
			ha realizzato 
			i fini statutari, 
			né
			è
			riuscita, pur inserendo delle 
			importanti 
			innovazioni, 
			ad 
			incidere
			
			
			profondamente 
			sull'economia 
			e sul tessuto 
			
			sociale.  
			
			Delle cooperative 
			attuali, 4 sono legate
			
			
			all'agricoltura, 
			3 alla
			
			
			edilizia e 1 al credito. 
			La prima a nascere
			
			
			qui 
			da
			
			
			me, 
			fra 
			quelle
			
			
			ancora 
			operanti,
			
			
			è 
			
			stata la 
			"Libertà
			
			
			". 
			
			Fondata
			
			
			il 
			
			24
			
			
			aprile
			
			
			1966,
			
			
			da 
			
			9 soci, con la durata di IO anni, la "Libertà"
			
			
			nel 
			1975 
			venne
			
			
			prorogata 
			per altri 30 anni da 52 soci riuniti in 
			
			assemblea
			
			
			straordinaria. 
			La quota
			
			
			sociale che era
			
			
			in origine di lire
			
			
			3.000 
			fu adeguata
			
			
			successivamente 
			al nuovo limite 
			fissato 
			dalla
			
			
			legge
			
			
			in 
			lire 
			5.000.  
			
			Le finalità
			
			
			inserite nelle statuto sono le seguenti: 1) miglioramento della produzione; 2) difesa del prodotto agricolo; 3) manutenzione e sistemazione della viabilità interpoderale; 4) costruzione di elettrodotti; 5) realizzazione di impianti di irrigazione e di acquedotti; 
			6) fornitura di concimi, 
			di antiparassitari,
			
			
			di
			
			
			sementi 
			e di
			
			
			macchinari;  
			
			7) costruzione di impianti 
			di trasformazione 
			e conservazione 
			dei
			
			
			prodotti 
			agricoli; 
			8) elevazione del livello 
			culturale
			
			
			dei
			soci 
			
			mediante 
			l'istituzione
			
			
			di corsi professionali. 
			Scopi 
			validissimi, 
			come si vede,
			
			
			ma 
			difficili da realizzare, 
			e in effetti
			
			
			la 
			
			società
			
			
			cooperativa
			
			
			“Libertà”
			
			
			oggi 
			si limita 
			alla
			
			
			gestione 
			di
			
			
			uno 
			spaccio 
			di generi 
			diversi, in 
			
			maggioranza 
			alimentari,
			
			
			aperto 
			in 
			una traversa
			
			
			di Via
			
			
			Benedetto 
			Croce.  
			
			Alla cooperativa
			
			
			vanno, però, riconosciuti alcuni meriti.  
			
			Innanzitutto, 
			il primato 
			della durata; poi, l'espansione 
			dell'uso dei concimi 
			chimici, fosfatici ed azotati, e dei diserbanti; ancora, l'avvio
			
			
			della coltivazione
			
			
			della barbabietola da zucchero e 
			
			la 
			formazione 
			di campi 
			sperimentali con il successivo scambio 
			dei semi migliori fra
			
			
			i soci; 
			infine, la funzione 
			calmieratrice 
			esercitata sui prezzi 
			dei fertilizzanti 
			e dei 
			prodotti alimentari 
			di base. La maggior 
			
			parte 
			dei prodotti 
			offerti 
			dallo spaccio della "Libertà" 
			
			è 
			
			di origine industriale;
			
			
			è 
			
			scarsa la
			
			
			vendita 
			di quelli dell'agricoltura
			
			
			e dell'allevamento 
			locali. 
			Le ragioni 
			sono varie, 
			ma la principale 
			
			è 
			
			l'alto costo 
			dei prodotti 
			del luogo 
			dipendente 
			dalla 
			scarsità 
			della produzione.  
			
			Della cooperativa 
			"Frascino" si 
			
			è 
			
			già parlato in precedenza,
			
			
			ma 
			
			restano 
			da dare 
			alcune informazioni interessanti. Per prima cosa, la
			
			
			cooperativa 
			ha una caratteristica che ne accentua
			
			
			il valore. Si 
			
			tratta, 
			infatti, non di una
			
			
			cooperativa 
			di servizio, come 
			sono tutte le 
			
			altre,
			
			
			ma 
			di una cooperativa
			
			
			a 
			
			conduzione associata, che
			
			
			è 
			
			come 
			l'Università
			
			
			della cooperazione,
			
			
			la sua forma 
			più 
			alta. In Italia
			
			
			si contano
			
			
			pochissime 
			forme 
			associative 
			di questo 
			genere: soltanto 
			una
			
			
			al 
			
			Nord 
			e qualche 
			altra 
			nelle regioni del Sud. La "Frascino" si propone 
			di condurre 
			in forma collettiva l'azienda 
			sociale con 
			
			moderni 
			criteri 
			
			di 
			coltivazione e di allevamento.  
			
			Le difficoltà che la cooperativa 
			ha
			
			
			dovuto 
			superare 
			sono parecchie, 
			causate, quasi 
			tutte, dall'incomprensione 
			tra 
			i soci, che 
			per 
			un certo periodo 
			ha 
			
			portato
			
			
			al 
			blocco 
			dell'attività. 
			Ora si stanno
			
			
			approntando 
			dei piani che dovrebbero 
			far decollare 
			ancora una volta la "Frascino". Sarà
			
			
			impiantato, 
			tra
			
			
			breve, un nucleo di 
			
			selezione
			
			
			della 
			pecora 
			laticauda, 
			più grossa
			
			
			delle 
			
			altre 
			e con 
			un'altissima
			
			
			resa nei parti e nella produzione
			
			
			del 
			latte. 
			Sarà 
			istituito, 
			inoltre, un nucleo 
			di selezione della razza 
			bovina bruno 
			
			alpina, 
			la 
			
			quale
			
			
			ha 
			mostrato 
			delle difficoltà di acclimatamento, 
			con 
			una alta percentuale di mortalità tra i vitelli.  
			
			Come
			
			
			mai 
			
			la 
			cooperativa 
			non si interessa 
			della 
			trasformazione 
			e della 
			commercializzazione 
			dei suoi prodotti? E' presto detto: perché
			
			
			la produzione 
			
			è 
			
			bassa 
			rispetto a quella necessaria per poter gestire in modo redditizio un 
			caseificio o una macelleria.
 
			
			Il 20 febbraio 1985 
			
			è 
			
			la data di nascita di un'altra cooperativa 
			agricola denominata "La 
			giovane". I soci, una decina, dai 20 ai 29 anni, si proponevano tra 
			l'altro: 1) la conduzione in forma collettiva dell'azienda sociale 
			organizzata con le tecniche più moderne; 2) la gestione di impianti 
			frutticoli e di piccolo artigianato; 3) l'allevamento razionale del 
			bestiame. La cooperativa aveva progettato un allevamento di conigli 
			con mangimi prodotti sui terreni dei soci, la macellazione degli 
			stessi e la lavorazione delle pelli. Gli impianti dovevano sorgere 
			su poco più di un ettaro di terreno acquistato da 
			"La 
			giovane”
			
			
			in contrada Musciali. Il progetto non ha ottenuto i finanziamenti richiesti ed ora se ne sta approntando un altro 
			che, si spera, incontri maggiore fortuna.  L'ultima arrivata fra le cooperative agricole è l'"Agri Fortes", fondata il 4 febbraio 1983 e destinata a durare fino al 2033. I 17 soci fondatori hanno versato una quota sociale di lire 50.000 e si prefiggono di produrre, raccogliere, trasformare, conservare e vendere i prodotti agricoli. La cooperativa si è specializzata nella produzione del tabacco, con la fornitura ai soci di piantine, di concimi, di antiparassitari ed assicurando ad essi anche un'assistenza tecnica. Il mio terreno, a parte le difficoltà frapposte dall'altitudine e dalla penuria d'acqua, si è in un primo tempo dimostrato idoneo alla monocoltura del tabacco, perché privo dei parassiti che rovinano le piante; ora, però, essi fanno danni anche da me, danni maggiori che altrove, poiché le caratteristiche climatiche impediscono ai miei tabacchicoltori la sostituzione delle piantina danneggiate. 
			
			 
			La 
			mamma delle cooperative 
			oggi 
			attive
			è 
			stata la 
			"Casalborese",
			fondata
			nel 
			1960 da
			9 
			soci, 
			poi divenuti 14,e durata
			fino al I969. 
			 
			La
			"Casalborese" 
			anch'essa 
			cooperativa 
			agricola di servizio, 
			che ebbe
			come
			Presidente
			Resce 
			Pasquale (Nicola) e la sede nella
			Torre, oltre
			ad 
			assicurare 
			ai 
			soci 
			la fornitura
			di maialini, 
			di concimi, 
			di anticrittogamici
			e di sementi 
			speciali, 
			provenienti dall'Emilia, 
			li assisteva 
			in 
			tutti 
			i 
			campi, 
			da quello
			pensionistico 
			a quello
			sindacale. 
			La 
			presenza 
			della
			"Casalborese" portò ad un deciso abbassamento
			del prezzo 
			di vendita 
			dei prodotti 
			usati 
			nel lavoro agricolo, 
			di cui deteneva 
			il monopolio 
			il Consorzio Agrario, nato 
			nel dopoguerra 
			come 
			una 
			succursale
			di quello di
			Montecalvo 
			e sito in Viale C.Battisti. 
			La 
			cooperativa 
			generò anche 
			una trasformazione nei rapporti 
			fra 
			proprietari
			dei 
			terreni e coltivatori, i quali ultimi presero coscienza
			dei diritti
			riconosciutigli dalle nuove leggi. 
			 
			Dalla 
			situazione
			descritta 
			emerge che qui da me c'è la volontà
			di intraprendere 
			in agricoltura 
			strade nuove, e le iniziative messe in atto 
			nel settore
			delle 
			cooperazione lo dimostrano. Però si va sempre a cozzare
			contro 
			una
			serie di 
			ostacoli, alcuni fisiologici altri istituzionali,
			che frenano
			gli slanci e 
			impediscono il cambiamento 
			e lo sviluppo.
			Quali 
			sono
			questi 
			ostacoli? Cominciamo da quelli individuali: 1)la 
			scarsa 
			assunzione 
			di responsabilità da parte 
			dei 
			soci;
			2)lo 
			sfruttamento 
			dell'esperienza 
			acquisita nella cooperativa
			per
			fini
			personali; 
			3)la difficoltà
			dell'imprenditore 
			locale
			nel gestire
			grandi
			aziende; 
			4)il ricorso 
			alla doppia 
			attività
			per accrescere
			il reddito
			familiare; 
			5)l'incapacità
			di
			valorizzare
			il prodotto
			offrendo al cliente 
			garanzie 
			sulla 
			qualità. A tutto questo 
			si 
			aggiunge
			il 
			fatto
			che le 
			cooperative 
			agricole 
			operano
			qui 
			in un 
			settore 
			in 
			crisi a causa 
			della competività delle
		aziende estere e del Nord, che sono all’avanguardia. 
		
		Le 
		forze dei
		
		
		miei
		
		
		agricoltori 
		sono impari
		
		
		a 
		
		sostenere 
		da 
		
		soli 
		la 
		
		lotta,
		
		
		senza 
		l'aiuto 
		delle strutture pubbliche e quest'ultime,
		
		
		se
		
		
		pure
		
		
		intervengono, sono spesso 
		in discordanza fra loro.  
		
		Bisogna tener presente, infatti, che la cooperazione 
		richiede al 
		socio di essere contemporaneamente 
		datore di lavoro e lavoratore, due 
		funzioni che 
		è
		
		
		difficile far conciliare senza una particolare preparazione. 
		Il socio, cioè, deve avere la capacità
		
		
		professionale 
		di produrre con 
		minore 
		lavoro, di estendere la propria esperienza ad altri 
		e 
		al 
		
		tempo stesso 
		la 
		mentalità
		
		
		imprenditoriale per far crescere la 
		redditività
		
		
		dell'azienda di cui fa parte. E non basta. 
		
		È 
		
		necessario 
		anche che il socio sia tollerante verso i comportamenti altrui per 
		poter lavorare in armonia ed egli deve rendersi conto che l'associazionismo non è assistenzialismo ma sviluppo delle proprie possibilità 
		produttive. Nel campo della cooperazione agricola, infine, deve 
		imparare a gestire i tre assi del sistema, cioè la produzione, la 
		trasformazione e la commercializzazione dei prodotti. 
		Nulla di tutto ciò 
		può essere fatto se il socio non ha entusiasmo, né
		
		
		un'adeguata 
		preparazione culturale e professionale, né un'assistenza tecnica 
		valida e continua.  
		Per 
		fortuna, la situazione qui non 
		è
		
		
		statica. L'interesse che verso 
		il settore agricolo-alimentare 
		si dimostra 
		da più parti, non ultima
		
		la
		
		
		Scuola che con il Progetto 
		Pilota Cee 
		è
		
		intervenuta 
		decisamente, 
		e l'impegno
		
		
		profuso da alcuni miei figli, 
		Resce
		
		Pasquale, 
		Salvatore
		
		Vito 
		e 
		Perito
		
		Giovanni, 
		che hanno 
		lavorato
		
		intensamente 
		per impiantare 
		la
		
		cooperazione
		
		nel 
		mio terreno, spingono
		
		ad 
		avere
		
		fiducia 
		
		in 
		un 
		miglioramento
		
		delle 
		condizioni economiche di 
		centri 
		piccoli 
		come 
		il mio,
		
		i
		
		quali 
		dai
		
		campi
		
		traggono
		
		la
		
		
		linfa
		
		vitale.  |