I miti e le stelle

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Il mito di Orione

 

Nelle chiare sere di un gelido gennaio, quando nel concavo cielo ad una ad una si accendono le stelle e poi tutte insieme occhieggiano scintillando, allora si mostra più bello che mai il cacciatore Orione. Riempie l’equatore celeste con la sua mole gigantesca. Lo sguardo di chi lo ammira ne disegna il corpo: muovendo dal rosso omero destro ( la stella Betelgeuse, di prima grandezza), si sposta sulla “cintura” (tre stelle di seconda grandezza allineate e disposte  ad uguale distanza) da cui ciondola la spada (tre piccole stelle affiancate) e poi giunge sullo splendente piede sinistro (la stella Rigel, di prima grandezza). Scortano il gigante i suoi due cani: il “maggiore”, Lelapo, più veloce di una lepre e con l’occhio destro grandissimo, fulgente di faville azzurrine, conosciuto come la stella più luminosa del firmamento con il nome di Sirio; il “minore”, Maera, abile nell’inseguire gli animali più piccoli e la cui stella di prima grandezza, Procione, che ne segna il collo, precede l’apparizione di Sirio.

Con o senza la luce della luna , armato di arco, di frecce e di spada, accompagnato dai latrati dei suoi cani, Orione stana le belve sulle montagne boscose, le insegue lungo le rive dei fiumi e le colpisce con le sue armi.

Quanti fatti e quanti personaggi sono stati collegati alla costellazione di Orione! Quante biografie diverse dell’instancabile cacciatore ci sono state narrate!

C’è chi dice (Eratostene) che a generare Orione, con il metodo naturale, siano stati Poseidone, dio del mare, ed Euriale, figlia di Minosse e sorella della Gorgone Medusa. Ma c’è anche chi dice che Orione sia “sbocciato” dalla pelle di un bue stesa a terra e innaffiata con l’urina da Zeus, Poseidone ed Ermes. I tre dei avrebbero compiuto il prodigio per ricompensare dell’ospitalità ricevuta Irieo, figlio di Poseidone, il quale aveva chiesto di potere avere un figlio senza essere costretto a sopportare una moglie.

In qualunque modo sia venuto al mondo, è certo però che né Poseidone né Irieo gli fecero da padre. Ad allevarlo fu, invece, Oineo, re di Calidone, con il quale Orione si comportò da ingrato. Un giorno, infatti, ubriaco, tentò di violentarne la moglie, Merope. Oineo per punirlo lo accecò.

Non gli si poteva arrecare uno sfregio maggiore. Come avrebbe potuto diventare il più famoso cacciatore di tutti i tempi ora che i suoi occhi erano stati spenti? Orione non cedette alla sventura. Venuto a sapere da un vaticinio che sarebbe guarito dalla cecità se avesse esposto i suoi occhi alla luce del sole nascente, si recò sull’isola di Lemno per chiedere consiglio ed aiuto ad Efesto, che lì aveva la sua fucina. Il dio del fuoco lo fece salire sulle spalle del suo maestro Chedalione, che lo condusse verso Est. Un mattino, i raggi del sole che sorgeva colpirono le orbite di Orione e le dischiusero. Riacquistata la vista, il suo primo pensiero fu quello di uccidere il padre adottivo per vendicare il male ricevuto. Oineo si salvò rifugiandosi in una camera di bronzo sotterranea. Per sfogare la sua ira, Orione iniziò a vagare per monti e valli, inseguendo e uccidendo tutti gli animali che incontrava sul suo cammino.

Non erano,però, soltanto le belve ad attrarlo. Durante una delle sue “battute” in Beozia, scorse le belle figlie di Atlante, le Pleiadi, e tentò di rapirle. Le fanciulle riuscirono a sfuggirgli, ma egli non rinunciò ad inseguirle per ben cinque anni. Stava finalmente per mettere le mani sulle spossate e tremanti prede, quando intervenne Zeus, che trasformò le Pleiadi in stelle. Orione continuò ad inseguirle e le insegue tuttora nel cielo, dove le Pleiadi splendono nella costellazione del Toro.

Da cacciatore possente divenne preda mansueta quando Eos, l’Aurora “dalle rosee dita”, innamoratasi di lui, lo rapì e lo condusse nell’isola di Delo. Orione di notte le sfuggiva per andare a caccia, ma quando Eos si affacciava nel cielo, ritornava velocemente nei silenziosi giardini della dea.

Più che con Eos, Orione ha rapporti privilegiati e contrastanti con Artemide, la cacciatrice  solitaria e casta, armata di frecce infallibili. Sarà lei, la dea che illumina la notte, a dare la morte al nostro mitico eroe. Perché? Per gelosia, per invidia, per amore, per castità? Si raccontano storie diverse.

Artemide gelosa: Artemide uccide Orione con una freccia perché gelosa di Eos, che lo tiene con sé nella sua isola.

Artemide invidiosa: Artemide viene a sapere che un cacciatore sta oscurando la sua fama perché riesce a catturare più prede di lei. La dea invidiosa una sera si apposta nel centro del cielo e attende che Orione si affacci all’orizzonte. Appena compare, Artemide gli scaglia una freccia e lo uccide. I guaiti dei cani di Orione echeggiano nella volta celeste e costringono la dea a colpirli con i suoi dardi.

Artemide innamorata: Artemide, durante la caccia notturna, vede Orione, altissimo e bellissimo, e se ne innamora. La dea pura, casta, che aveva chiesto al padre Zeus di tenerla lontana dalle nozze, per la prima volta sente battere il suo cuore. Apollo, fratello di Artemide, quando scopre sul volto luminoso della sorella l’amore per il giovane mortale, tenta di ostacolarla in tutti i modi. La dea non ascolta le parole del fratello e continua a dedicare tutti i suoi pensieri allo scintillante Orione. Un giorno Apollo le tende un inganno. Con tono affettuoso e convincente, la sfida a colpire un puntino scuro che si muove tra le onde del mare. Dall’alto del cielo non è assolutamente possibile scoprire la vera natura di quel puntino ed è difficilissimo colpirlo perché assai mobile. Artemide, sicura di sé ed orgogliosa, accetta la sfida. Tende l’arco e scocca una freccia. Il dardo centra in pieno il bersaglio. La dea trionfante rimprovera il fratello che ha dubitato della sua abilità. Presto, però, la sua gioia si tramuta in disperazione. Quando le onde depositano sulla spiaggia ciò che la dea ha colpito, nel cielo e sulla terra risuona un grido disperato: “Orione!”. Ingannata da Apollo, Artemide ha colpito con la sua freccia d’argento il capo dell’unico uomo che ha svegliato il suo amore. Per placare il dolore della dea e per fermarne il pianto, Zeus tramuta Orione in una costellazione, così Artemide, astro notturno, potrà ammirarlo e tenerlo vicino nel cielo.

Artemide casta: Artemide bambina, seduta sulle ginocchia di Zeus,  gli accarezza la barba e gli sorride per ottenere dal padre il consenso per ogni sua pretesa. Gli chiede di donarle arco e frecce d’argento ed è subito accontentata. Gli chiede di poter contare su una schiera di ninfe, ed immediatamente il corteo si materializza. Gli chiede di poter vivere senza amore e di mantenere intatta la sua purezza, e il sommo padre acconsente.  La bellezza di Artemide, solitaria e luminosa cacciatrice nel cielo notturno, non può non attrarre il gigante Orione, che si innamora di lei e vuole ad ogni costo possederla. Inseguire animali ed ucciderli non gli procura più alcun piacere, le sue mani tremano, spesso scaglia a vuoto le sue frecce: i suoi occhi sono abbagliati dalla luce della dea. Una notte non riesce a contenere il suo istinto, la aggredisce, tenta di farle violenza. Ma non ne può compromettere la castità, perché, invocato da Artemide in lagrime, compare uno scorpione, che gli punge il piede e gli provoca la morte.

In realtà, la costellazione di Orione scompare, quindi “muore”, quando sorge quella dello Scorpione.

Il mito che fa di Artemide “l’assassina” di Orione ricorda che il chiarore intenso della Luna piena (Artemide-Ecate) attenua la luminosità delle stelle di Orione.