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LU  FRAULARO

   Dall'America Donato tornò povero come era partito. Ma era tanto felice. Non perché aveva potuto riabbracciare sua moglie e i suoi figli, ripercorrere i vicoli del paese natio, rivedere gli amici, riprendere le abitudini di un tempo, parlare e ascoltare il suo dialetto. Era felice perché ora possedeva un oggetto che avrebbe suscitato la meraviglia e l'invidia dei suoi compaesani.

Lo portava sempre con sé‚ quel piccolo flauto e si sforzava di trarne dei suoni gradevoli o qualche semplice melodia.

Qualcuno, avvezzo a coniare soprannomi, subito lo battezzò "lu fraularo", e Donato si appropriò del nomignolo con orgoglio.

Coinvolse nella sua passione per la musica anche i suoi due figli, Emilio e Francisco. Nelle ricorrenze festive, il trio si esibiva per le strade e nelle case. Donato soffiava con forza nel suo flauto e nei suoi occhi si leggeva spesso lo stupore per le note che, senza sapere come, era riuscito a produrre; Emilio percuoteva con un'asticella di legno una tanica di benzina, che imitava la grancassa; Francisco batteva, incrociandoli, due ferri dai quali s'illudeva di trarre i suoni di un triangolo. Una banda siffatta in verità non assecondava i gusti musicali degli ascoltatori, ma faceva scoppiare il buonumore.

Quando Donato morì, i figli ne ereditarono il flauto e il soprannome.

Francisco "lu fraularo" non era in grado di svolgere un'attività lavorativa e si guadagnava qualche lira alzando e abbassando il mantice dell'organo della Chiesa Madre e suonando le campane. Suonare le campane è senz'altro ritenuta un'operazione molto semplice da tutti coloro che non l'hanno mai vista fare da Francisco.
   Parecchio tempo prima che fosse l'ora, il nostro suonatore iniziava a gironzolare nei pressi del campanile, rivolgendo ogni tanto un rapido e furtivo sguardo alle campane, come un innamorato timido. Si sedeva per un poco e poi riprendeva il suo giro: compiva un vero e proprio rito propiziatorio, simile a quello dei cacciatori primitivi. Arrivata l'ora, poggiava a terra il secchio di zinco, che portava sempre con sé‚ come suo unico bene, e si avventava sulla preda. A passi decisi, ben diversi dai soliti, raggiungeva il campanile. Sfiorava con gli occhi prima la grande e poi la piccola campana, scioglieva le corde e iniziava a tirarle. Al primo tocco, il suo volto si illuminava e la bocca si apriva in uno strano riso. Quando suonava a distesa, i suoi movimenti erano agili, sicuri e perfettamente ritmati. Ma la sua maestria si palesava soprattutto nel finale, nel momento in cui doveva rallentare le oscillazioni della campana, fermarla e battere i rintocchi. Allora il riso scompariva, mentre le mani afferravano con forza la fune e la premevano sul petto. Francisco si rannicchiava, s'irrigidiva e stringeva la corda in un abbraccio d'amore. Poi, piegandosi leggermente sulle ginocchia e trascinando la corda, faceva assumere alla campana un'angolazione tale da permettere al batacchio di sfiorare soltanto il bronzo della bocca.

   Un pomeriggio Francisco, appena terminato il suo concerto, riavvolse le funi, sistemò la giacca, rivolse uno sguardo compiaciuto alle campane e si avviò. Raggiunse il secchio e si sedette sui gradini di pietra di una scala che portava ad una casa. Tirò fuori da una tasca un pezzo di pane duro e si mise a mangiarlo. Passò di lì una donna, che si recava al vicino lavatoio reggendo sul capo una conca di panni. Quando vide Francisco adagiato sui gradini come su un sofà, intento a godersi l'ombra di un caldo pomeriggio estivo con il viso beato di chi non è assillato da nessuna preoccupazione, la donna, già sfinita da un'intensa giornata di lavoro, gli disse: "Francì, viat'a te!"1. Queste parole scatenarono l'ira di Francisco che, alzandosi di scatto, cominciò ad imprecare violentemente contro la povera donna.

Ad un passante che assisteva alla scena "lu fraularo" sentì il bisogno di spiegare il motivo del suo comportamento e gli disse: "Quessa me pigghia d'uocchi!"2 e continuò a lanciare maledizioni.


1 "Beato te!"
2 "Questa donna mi invidia e mi getta il malocchio!"

FRANCISCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


DONATO

 

 

 


EMILIO